La Primavera Araba
Rabbia, Treccani : "Stato fisiologico di intensa attivazione emotiva associata a forte disapprovazione. Presente nell'uomo sin dalla nascita, è una delle otto emozioni fondamentali".
Terminata la Prima guerra mondiale lo scenario politico italiano, già dilaniato da profonde fratture interne, si divise in modo ancor più traumatico circa la questione dei compensi territoriali spettanti a seguito della vittoria.
Il 26 aprile 1915 la delegazione italiana guidata dal Presidente del Consiglio Antonio Salandra e dal Ministro degli Esteri Sidney Sonnino, aveva firmato in gran segreto il Patto di Londra, che avrebbe fatto entrare l'Italia in guerra, neanche un mese dopo, al fianco delle potenze dell'Intesa (Gran Bretagna, Francia e Russia).
In caso di successo, al Regno d'Italia sarebbero state concesse rettifiche del confine con l'Austria-Ungheria, l'annessione della Venezia-Giulia, l'Istria, la Dalmazia, l'Alto Adige, la Tracia, la Bessarabia più qualche compenso non ben specificato in Africa.
Nel 1919, a guerra ormai finita, si aprirono a Parigi i tavoli delle trattative, presiedute dai leader delle potenze vincitrici: Clemenceau per la Francia, Vittorio Emanuele Orlando per l'Italia, Lloyd George per la Gran Bretagna e Woodrow Wilson per gli Stati Uniti.
Fu il presidente statunitense ad opporsi veementemente alle richieste di Roma, con il placet delle cancellerie anglofrancesi, che non avrebbero certamente giovato di una così rilevante espansione delle sfere d'influenza italiane nei Balcani e nel Mediterraneo orientale.
Gli Stati Uniti sconfessarono il Patto di Londra, in quanto non firmatari, e stilarono, per tramite del proprio presidente, una lista di quattordici punti che stabilivano i criteri da seguire nell'ottica di un ripristino dell'assetto e dell'equilibrio internazionale.
Tra questi assumevano indiscutibile rilevanza i criteri di nazionalità e autodeterminazione, secondo i quali popolazioni di una certa lingua e cultura non avrebbero dovuto sottostare a dominio straniero.
Proprio su questo tema i vertici italoamericani si affrontarono in una battaglia diplomatica senza sconti: gli USA accusavano il governo italiano di incoerenza, nella misura in cui esso si appellava al criterio di nazionalità per annettere i territori a maggioranza italiana al fine di ultimare il processo di unificazione, salvo poi contraddirsi nella pretesa di vedere esaudite le proprie velleità coloniali nei Balcani e in Africa.
Wilson non indietreggiò nelle sue convinzioni: Orlando e Sonnino abbandonarono Parigi e lasciarono la conferenza sbattendosi la porta alle spalle.
In Italia cominciò a divampare il mito della Vittoria mutilata.
Il 12 settembre 1919, all'alba, Gabriele D'Annunzio, partito da Ronchi alla testa di una colonna di militari, reduci, Arditi e ribelli, marciò verso Fiume e vi entrò, ignorando i richiami del governatore militare della città, il cui compito era appunto quello di amministrare e garantire l'ordine fino al termine delle trattative. Nel pomeriggio dello stesso giorno, il Vate si affacciò dal palazzo del governatore e, tra le acclamazioni e il giubilo della popolazione italiana, proclamò l'annessione.
In Italia si aprì una fase di acceso confronto tra le varie forze politiche. Sebbene parte della destra liberale guardasse con malcelato interesse l'iniziativa dannunziana, la quale certamente accendeva gli spiriti dei nazionalisti più ferventi, la classe dirigente nella sua interezza doveva tenere conto dei possibili risvolti sul piano internazionale. Una frattura con la neonata Jugoslavia, oltre che con le potenze vincitrici, sarebbe stata difficile da risanare nel quadro instabile dello scenario postbellico.
Il governo presieduto dal liberale Francesco Saverio Nitti, nonostante i vari ultimatum ignoranti da D'Annunzio, non riuscì a razionalizzare i rapporti con lo stato jugoslavo. Né tantomeno fu in grado di porre fine alla folle occupazione di Fiume.
Nel giugno 1920 Nitti, vedendo sempre più erosa la propria maggioranza parlamentare, anche in virtù del successo elettorale dei socialisti, fu costretto alle dimissioni. Al suo posto fu chiamato un anziano Giolitti, al suo quinto ministero, che, come esponente di maggior rilievo della classe dirigente liberale, era chiamato in politica estera a un non semplice compito di mediazione.
Nonostante l'ormai inarrestabile spirale critica che stava avvolgendo il liberalismo italiano, Giolitti, il 12 novembre 1920, firmò il Trattato di Rapallo, il quale riconosceva il confine tra Jugoslavia e Italia secondo quanto stabilito a Londra, con piccoli ingrandimenti a favore di quest'ultima. Fiume, invece, fu dichiarata "Stato libero".
Con il dovuto grado di risolutezza, Giolitti impose a D'Annunzio di abbandonare la città, il quale, rigettato il Trattato di Rapallo, comunicò il proprio dissenso con toni apocalittici. Ormai la collisione tra le parti era inevitabile. Il governo di Roma, la notte di Natale 1920, forzò la mano per sbloccare lo stallo: una nave della Regia Marina aprì il fuoco contro il palazzo del governo dannunziano, costringendo i ribelli a lasciare la città.
Fu quello l'ultimo atto dell'irrazionale sogno fiumano.
Fu quello l'ultimo sussulto di una classe dirigente liberale ormai in piena crisi esistenziale.
Rabbia, Treccani : "Stato fisiologico di intensa attivazione emotiva associata a forte disapprovazione. Presente nell'uomo sin dalla nascita, è una delle otto emozioni fondamentali".
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