In Hoc Signo Vinces, il simbolismo nella nostra storia

12.01.2024

Siamo spesso abituati a vedere leader politici e ardimentosi capipopolo mostrare con orgoglio simboli identitari, talvolta religiosi e profondamente evocativi nella coscienza e nell'immaginario di molti.

E noi italiani, più di altri, come si suol dire «ci abbiamo fatto il callo» e anzi, ormai vedere icone sacre sventolate insolentemente sui palchi e nelle piazze in tempo di campagna elettorale non ci fa neanche più troppo effetto. Ad oggi anche ciò che in precedenza rappresentava un sentimento viscerale e un ideale di inestimabile valore viene usato strumentalmente nell'ottica di un abietto aumento di un consenso personale o partitico.

Strumento.

Questa è la parola chiave. Tutto ciò che prima era fine, meta, scopo, oggi si fa strumento.

Sin dal IV secolo a.c, nel contesto dell'asperrima guerra civile tra Costantino e Massenzio, in una fantasticazione a metà tra realtà e mito, la leggenda riporta il sogno di Costantino che, suggestionato dall'apparizione della croce, pose sugli scudi e sulle insegne del proprio esercito l'effige di Cristo, registrando, nella battaglia di Ponte Milvio, immortalata da Raffaello in un affresco conservato nelle Stanze Vaticane, una sensazionale vittoria che, in virtù di una consistente inferiorità numerica, assunse caratteri epici che rinvigorirono ulteriormente il mito del primo imperatore cristiano.

"L'AFFAIRE" PRIMA REPUBBLICA

Ad innauguarare, metaforicamente parlando, la prassi del simbolismo nella politica contemporanea fu, nel panorama italiano, la campagna elettorale dai toni di crociata tenuta dai vertici cattolici in ottica anticomunista nel 1948, quando l'Italia era sostanzialmente tenuta a stabilire il proprio collocamento nello scacchiere internazionale nel quadro di un violento scontro politico e ideologico tra USA e URSS.

Il Vaticano, e Pio IX in special modo, fece fortissime pressioni sulla Democrazia Cristiana e sul suo leader De Gasperi affinché l'elettorato conservatore e moderato esprimesse la propria preferenza per il centro e scongiurasse l'ipotesi terrificante di un travalicamento dello spauracchio rosso al di qua della cortina di ferro. Il 18 aprile '48 la larga vittoria della DC, sul cui stemma grandeggiava lo scudo crociato, fu il frutto di una imponente campagna propagandistica volta all'egemonizzazione delle masse, soprattutto contadine, che, emotivamente influenzate dalla dottrina cattolica, sancirono la sconfitta dei socialcomunisti, da quel momento innanzi estromessi dall'area della governabilità.

Lo scudo crociato, simbolo della Democrazia Cristiana a partire dal Secondo dopoguerra
Lo scudo crociato, simbolo della Democrazia Cristiana a partire dal Secondo dopoguerra

CRAXI E IL SOCIALISMO TRICOLORE

Nella fase di declino del grigio partito classico fatto di quei lugubri e austeri uomini politici, sempre immersi in quegli oscuri uffici e con indosso i loro abiti fumosi, l'ascesa di un leader nuovo come Craxi, assurto alla guida del PSI e affermatosi prepotentemente, a partire dalla fine degli anni '70 e in maggior misura all'inizio degli '80, volto di spicco dello scenario nazionale, diede il via ad un nuovo modo di concepire l'istituzionalità e interpretare il ruolo dello statista. Per accrescere il consenso, la strategia adottata dal PSI si rifaceva ad un modello propagandistico di derivazione americana basato sul coordinamento capillare delle immagini e del materiale grafico. Si ricorse allora alla creazione di un universo visivo che potesse essere d'impatto e totale, che potesse essere esteso sia alla piccola scala, all'elettorato, quindi manifesti e opuscoli, sia al gigantismo dei congressi.

Lo stesso Craxi fece della propria immagine, della propria presenza scenica, e di quel celebre garofano che negli spot elettorali teneva all'occhiello, un inconfondibile segno distintivo, che portò in ultima istanza alla deriva personalistica del partito che caratterizzerà anche le forze dell'informe "Seconda Repubblica".

LA LEGA E L'INDIPENDENZA PADANA

Al tramonto della cosiddetta "Prima Repubblica", quando ormai i grandi partiti tradizionali erano afflitti da una crisi poi rivelatasi ineluttabile e incontenibile, nell'area settentrionale della penisola cominciarono a fiorire movimenti secessionisti che contestavano il malgoverno della "Roma ladrona" e l'improduttività del Mezzogiorno che gravava fortemente, in ispecie nell'ambito fiscale, sulla fecondità e sul dinamismo del Nord.

Umberto Bossi, fondatore e primo leader della Lega Lombarda, attinse alla tradizione medievale per individuare il mito fondativo del nuovo partito: al centro del proprio simbolo si stagliava ferma e implacabile la figura di Alberto da Giussano, eroe della guerra tra l'imperatore Federico Barbarossa e i comuni lombardi che, unitisi sotto la stessa bandiera di libertà, trionfarono nel 1176 nella battaglia di Legnano.

Anche qui, il tema ricorrente è quello della mitologia popolare, quel fil rouge che lega visceralmente il destino del popolo alla sorte della frangia partitica che di esso si erge a difensore.

Una storia, quella italiana, che si articola per leader e per simboli, in una commistione tra popolo e avanguardie che affonda le proprie radici in quella leggenda che rappresenta la maggior porzione del nostro sostrato culturale.

-Francesco De Paolis


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