La Primavera Araba
Rabbia, Treccani : "Stato fisiologico di intensa attivazione emotiva associata a forte disapprovazione. Presente nell'uomo sin dalla nascita, è una delle otto emozioni fondamentali".
Fin dalle scuole elementari ci viene trasmessa l'importanza che quella porzione di terra del Medioriente ha avuto, e (direi purtroppo) ha tuttora. In antichità a renderla un luogo ambito era la fertilità del terreno, e quindi una garanzia di raccolti produttivi.
Col passare dei secoli l'agricoltura ha lasciato posto al tema religioso. La Mesopotamia rappresenta la sceneggiatura dei testi di quasi tutte le fedi: islam, cattolicesimo, ebraismo.
E se la Bibbia ha poi, lentamente, spostato il focus su Roma, sede del papato dal I secolo in avanti, le altre due fedi sono rimaste ancorate a quella che, di fatto, è la loro terra.
L'aspetto religioso ha, come sappiamo, un ruolo cruciale nelle controversie attuali. Ma non è l'unico.
Forse
la causa suprema, quella da cui derivano tutte le conseguenze, ha come anno di
riferimento il 1884.
L'anno del secondo congresso di Berlino. Bismarck, il cancelliere tedesco
dell'epoca, aveva deciso di organizzare una conferenza per delineare le zone di
influenza dei paesi occidentali nel continente africano. In particolare di
Francia e Inghilterra.
I due Stati si divisero il continente, approssimativamente, in questo modo: alla Francia la costa settentrionale, e all'Inghilterra la fascia verticale partente dall'Egitto fino al Sudafrica. È evidente come il disegno fosse stato realizzato senza badare a culture, etnie, popoli. Una linea orizzontale per la Francia, una verticale per i britannici.
Siamo negli ultimi anni del 1800, il concetto di autodeterminazione dei popoli scatena giusto qualche risata nei caffè parigini.
E il Medioriente? Era sotto il controllo dell'Impero Ottomano.
Impero
Ottomano che però si trovava in una fase di sgretolamento, subendo molteplici
sconfitte. Tant'è che, sostanzialmente, implose al seguito della Prima Guerra
Mondiale, nel 1922, con la rivoluzione dei "Giovani Turchi".
Una volta crollato l'Impero, quindi, si pensò bene di
replicare ciò che si fece a Berlino con l'Africa.
Nel 1916 un diplomatico inglese, il colonnello sir Mark Sykes, fiutando la
possibilità di allargare ulteriormente il controllo britannico sul globo,
tracciò su una cartina dei nuovi confini. Totalmente arbitrari.
Andavano da Haifa a Kirkuk. Dall'attuale Israele al Nord-est dell'odierno Iraq.
I capolavori diplomatici, però, non si fanno mai da soli.
Ecco, quindi, che l'altro attore principale della storia del colonialismo, la
Francia, non si fece trovare impreparato.
La sua rappresentanza era delegata a Francois Georges-Picot, che siglò
l'accordo con Sykes per spartirsi le zone d'influenza. Le regioni a nord della
linea (non c'è un modo diverso di chiamarla, fu deciso tutto a tavolino) erano
destinate allo Stato francese, quelle a sud al Regno britannico.
Questa convergenza di interessi, una volta firmata, prese il nome di "accordo Sykes-Picot". I nomi dei due diplomatici.
Tutto ciò sarebbe diventato effettivo, però, solo
"nell'eventualità in cui l'impero ottomano cadesse".
Britannici e francesi erano ovviamente a conoscenza della situazione fragile in
quelle terre. Col senno di poi si può quindi affermare che, la caduta
dell'Impero, non fosse un'eventualità. Direi più un fatto certo di cui non si
conosceva la data.
Prima del Sykes-Picot non esistevano Siria, Libano, Giordania, Iraq, Arabia Saudita, Israele e Palestina. I turchi nel loro lungo periodo di dominio non diedero mai nomi e confini ben delineati a queste zone.
E se sono riusciti ad essere padroni di quei territori
per quasi 700 anni, un motivo c'è.
L'islam, religione maggiormente diffusa in quelle terre, si
divide a sua volta in due correnti: sunnita e sciita.
Questa scissione risale al 632 d.C., dalla morte di Maometto.
I sunniti sono in maggioranza tra gli arabi, circa l'85% del totale. Il loro
nome significa "popolo della tradizione". Il pensiero di questa frangia
dell'islam afferma che, alla morte del profeta, il successore dovesse essere
scelto seguendo le tradizioni tribali arabe.
Il termine sciiti, invece, significa "il partito di Ali", e fa riferimento al genero di Maometto, lo stesso Ali, e ai suoi figli: Hassan e Hussein. A mettere benzina sul fuoco è il fatto che furono tutti assassinati, e quindi privati del loro diritto di nascita di condurre la comunità islamica.
Specifico questo aspetto per rendere chiara l'idea di come sia spregiudicato costruire degli stati nuovi, in queste zone, senza tener conto degli infinti aspetti culturali. I turchi non toccarono nulla, si occuparono dell'amministrazione di quell'immenso territorio.
L'Occidente invece, come in Africa, si fece sopraffare dal
desiderio di istituire degli stati nazionali.
Sappiamo tutti com'è finita.
In Medioriente e in Africa.
Arriviamo quindi al culmine della storia, al capolavoro per eccellenza: la fondazione dello Stato di Israele.
14 maggio 1948.
Si è appena conclusa la Seconda guerra mondiale, con essa
anche la tragedia della Shoah. Il mondo è sconcertato
dalla disumanità tedesca e dal dolore che il popolo ebraico ha vissuto.
Dalla fine della prima guerra mondiale la Società delle Nazioni aveva trasferito la Palestina sotto il controllo dell'Impero britannico, istituendo il "mandato britannico della Palestina". I britannici, con la Dichiarazione Balfour, si fecero promotori della costituzione di un "focolare nazionale" ebraico in quella regione.
Per
intenderci: la Società delle Nazioni era un'organizzazione internazionale
fondata dopo il primo conflitto globale, per cercare di evitare eventi simili
in futuro e per garantire una cooperazione tra gli Stati.
Bene.
Non vi presero parte gli Stati Uniti (vincitori della guerra), la Germania
venne inizialmente respinta e l'Unione Sovietica fu lasciata fuori, fino al
1934. Anno in cui i tedeschi la abbandonarono.
Ah, ci fu poi una Seconda guerra mondiale.
Sta a voi giudicare se quindi fosse un organo di
cooperazione, e soprattutto un'organizzazione valida. E se, a loro volta, le
decisioni da essa prese fossero valide.
Col mandato britannico, dicevamo, iniziarono i primi flussi migratori di ebrei verso la Palestina. Già da quegli anni la convivenza tra questi e gli arabi sembrava impossibile, soprattutto in quelle modalità.
La
strage del secondo conflitto mondiale ha però portato il mondo ad un livello di
imbarazzo tale che ci si sentiva in dovere di fare qualcosa, quasi in richiesta
del perdono ebreo. Il mandato britannico in Palestina, inoltre, stava per
scadere.
Si decise quindi di fondare un nuovo Stato in quella che era la terra promessa,
uno stato ebraico dove tutti i fedeli del mondo potessero vivere allegramente
insieme alla propria fede, dopo i disastri della guerra.
Sembra una soluzione ideale, benevola, non credete?
Sarebbe stato così se in quelle terre non ci avessero vissuto milioni di arabi, per secoli.
14 maggio 1948.
Da quella data, la vita di quegli arabi, i palestinesi, è cambiata per sempre.
"I sionisti erano giubilanti mentre gli arabi palestinesi e i leader dei Paesi arabi e musulmani erano indignati."
Gli accordi, tuttavia, lasciavano intravedere uno spiraglio di reale convivenza. L'Assemblea generale delle Nazioni Unite approvò un piano di partizione della Palestina che prevedeva la costituzione di uno Stato ebraico e di uno arabo.
L'immagine chiarisce la divisione prevista dei territori. Gran parte della Cis-Giordania, la striscia di Gaza, la Galilea, alla Palestina. Il resto ad Israele.
Come
recita il virgolettato precedente, la reazione araba non fu benevola.
Immediatamente alla proclamazione del nuovo Stato, quindi, si andò a verificare
la prima guerra arabo-palestinese.
La lega araba (Arabia Saudita, Egitto, Transgiordania, Iraq, Libano, Siria)
attaccò per prima, perdendo. Ve ne furono altre, nel '56, nel '67, e nel '73.
Con queste guerre Israele si ingrandì. Gerusalemme, che secondo i
trattati doveva essere una "città libera", indipendente, sotto il controllo
internazionale, venne inglobata ('48). Con la crisi di Suez del '56 l'esercitò israeliano penetrò addirittura fino al Sinai, in Egitto. Soltanto l'opposizione dell'ONU,
e in particolare degli USA, fece rientrare le truppe nel proprio territorio.
Con la "guerra dei sei giorni", nel '67, lo stato ebraico si appropriò della
parte occidentale della Giordania e nuovamente del Sinai (restituito nel 1979).
Con il conflitto del '73, invece, l'Egitto cercò di riconquistare le terre
perse, ma l'esercito israeliano si fece trovare pronto. Si terminò senza
vincitori né vinti.
Col susseguirsi di questi scontri, sempre persi dagli arabi, il loro acerrimo nemico si rafforzò, andando di fatto ad occupare territori non previsti dagli accordi dell'ONU del '47.
Dopo tutto quello che ho raccontato, è semplice quindi comprendere perché ancora oggi la regione sia vittima di continue stragi.
L'attacco di Hamas, tuttavia, è di una portata tale da poter scatenare una reazione diversa dal solito. Stavolta sembra che Israele voglia concludere definitivamente la questione.
Ma come la storia insegna, a queste condizioni, sarà impossibile.
Tutti gli errori commessi dall'Occidente in questi secoli hanno portato ad una situazione irrecuperabile. I palestinesi hanno diritto ad un proprio Stato. Hanno diritto ad uno Stato che sia riconosciuto anche dalle forze Atlantiche.
Analizzando i fatti dal '48 in poi, era scontato che l'equilibrio tentato di imporre fosse troppo fragile, ma si è fatto poco per rafforzarlo. Israele si è allargata, in zone che non gli spettavano, e nessuno ha fatto niente.
E quindi perdono la vita dei ragazzi che stavano ballando spensierati. E quindi dei bambini vengono uccisi, rapiti, massacrati. E quindi le persone vivono con la paura.
Hamas ha agito sfruttando il livore palestinese, per interessi propri. Sono dei terroristi che "lavorano" per agire senza oppositori. Ma se, in parte, quei crimini vengono legittimati dal popolo stesso, è per colpa di chi doveva decidere.
E ha deciso male.
Ciò che spaventa è il movimento pro Palestina che sta prendendo piede in Europa, che si definisce delle volte "contento" per quanto accaduto. Che definisce "giusto" uccidere dei civili. Spesso quando si fa notare che quello di Hamas è un attentato senza precedenti, la risposta è che anche Israele in passato si sia macchiata di questi tipi di crimini.
Non è così.
Tra Gaza e Tel Aviv c'è da
anni un continuo lancio di missili. Reciproco. Gerusalemme è una città che vive
con la paura degli atti terroristici. Israele ha fatto dei soprusi? Si, ha
occupato zone che non erano sue. Ma i militari non sono mai andati dentro le
case dei civili palestinesi per rapirli, massacrarli, assassinarli. Israele ha
ucciso dei civili? Sì, perché si trova in guerra. E in guerra si bombarda. E se
si bombarda possono morire dei civili.
Quindi, sì, i palestinesi hanno diritto ad un cambiamento radicale. Ma che non si giustifichi il terrore come mezzo. Perché farlo, è più grave che sostenerlo.
Inoltre, chi attacca a priori Israele, si ricordi che, se può farlo, è perché vive in un Paese democratico, come Israele stesso. E, soprattutto, che se vivesse nello Stato contro cui è in guerra Israele, certe manifestazioni, non le potrebbe fare.
La responsabilità di questa perenne rivalità, che sembra stavolta arrivare ad una fine apocalittica, è di chi quella terra l'ha amministrata, usurpata, violentata, per due secoli.
È di chi l'ha resa la mezzaluna fertile, non dei raccolti, ma delle guerre.
-Matteo Fanelli
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