Mike Tyson contro Jake Paul: un sogno infranto

18.11.2024

Per gli inguaribili nostalgici e i romantici patologici, categoria cui colui che scrive si sente a pieno titolo di appartenere, spesso si manifesta il desiderio, per certi aspetti financo perverso, di poter apprezzare nuovamente, anche se in modo effimero e volatile, qualcosa di già accaduto e consegnato pertanto alla storia. Questo è un meccanismo di subdola natura, certamente, ma che nella prassi del quotidiano è meno raro di quanto non lo si creda. Quante volte pensiamo a come sarebbe bello poter rivivere il calcio anni '80, guardare nuovamente Maradona e Zico che dipingono traiettorie impossibili con una carezza leggera al pallone? E quanto bello sarebbe se si potesse subire di nuovo il fascino dell'era della Ferrari di Schumacher o l'epopea di Rossi nel motomondiale?

Ecco, tutto ciò non è possibile, e forse tali ipotesi è meglio che rimangano nel mondo dei sogni. 

Ciò che infatti si è consumato tre giorni fa, il 15 novembre, all'AT&T Stadium di Arlington, Texas, e che grazie alla piattaforma Netflix ha raggiunto la folle cifra di oltre 60 milioni di stream simultanei, di romantico e nostalgico, pare avere davvero ben poco. 

ANTEFATTI E CRONACA

Dopo un digiuno ventennale, la leggenda del pugilato Mike Tyson ha deciso di mettersi nuovamente in gioco e, alla soglia dei sessant'anni, tornare sul ring per sfidare se stesso, la critica e i propri fantasmi, prima ancora che l'avversario. In tempi di Covid, per dovere di cronaca, si era già reso protagonista di un'esibizione simile; ai tempi affrontò Roy Jones Jr, altra leggenda indiscussa della boxe, ma con un clamore mediatico neanche lontanamente paragonabile a quello suscitato dalla più recente performance sportiva.

Circondati dallo sdegno dei puristi intransigenti e dal fervore dei più, Mike Tyson e Jake Paul, noto youtuber, influencer e boxeur per diletto, si sono avversati in un confronto sulle otto riprese da due minuti l'una, a seguito di una "soap opera" architettata ad arte per accrescere il fermento attorno ad un evento spacciato dai media come epocale. 

Il ritorno del "Baddest man on the planet", l'uomo più cattivo del pianeta. La riconsegna al legittimo re di un trono minacciato da un giovane e rumoroso contendente. 

In modo molto empatico, mi dispiaccio per chi ci ha creduto. 

Mi rammarico nel constatare come quella muscolarità e durezza ostentata dall'anziano ex campione e imbellettata dalla capacità persuasiva dei mezzi di comunicazione possa aver illuso molti. 

Mi rattristo nel pensare che quello schiaffo che Tyson ha rifilato al suo sfidante durante la cerimonia del peso abbia potuto far girare la testa ai molti che speravano in una ribalta della tigre indomita di Brooklyn. E forse quello schiaffo la testa l'ha fatta girare molto più a tanti poveri ingenui rispetto persino allo stesso Jake Paul, che sarà stato per giunta ben contento di incassarlo, dato l'introito milionario che l'evento ha generato. 

Tyson e Paul che scambiano durante il match
Tyson e Paul che scambiano durante il match

Il copione dell'incontro sembra scritto da un mediocre sceneggiatore di film drammatico-sportivi di quarta lega. Il vecchio leone parte forte, rievocando nel cuore degli spettatori emozioni sopite: schivate, movimenti di tronco, aggressività e dinamismo. Due round old school di Tyson fanno presagire un match non scontato e forse dotato di un briciolo di senso d'esistere. Poi, come da trama, l'entusiasmo e le energie vengono meno, lasciando spazio alla superiorità fisica del giovane amatore, ventisettenne celebre, vigoroso e con una preparazione pugilistica tutto sommato degna. 

La tristezza risiede nella plastica finzione con cui il tutto si è svolto. 

Senza mai la sensazione che potesse accadere qualcosa di imprevisto, il match si è disputato esattamente secondo le aspettative. Tyson non ha avuto la brillantezza di mettere in mostra quelli che almeno in passato erano i colpi migliori del proprio repertorio, e anzi è parso totalmente incapace di accorciare la distanza e rendersi pericolo sotto misura. Jake Paul si è limitato a evitare guai, non premendo troppo sull'acceleratore né infierendo in modo improprio su di un'icona che, in tutta onestà, non merita certamente di perdere la faccia in un'esibizione contro un ricchissimo e vanagloriosissimo dilettante.  

IL VERDETTO

L'incontro è terminato in modo emotivamente poco illustre, sebbene il cartellino dei giudici rispecchiasse in modo abbastanza fedele lo spettacolo impietoso cui si è assistito: due round vinti da Tyson, sei dal giovane sfidante. Il verdetto, unanime, ha pertanto premiato l'ardore e la fisicità di Jake Paul, cui quantomeno va riconosciuta la sensibilità con cui, sia durante la sfida che a incontro concluso, si è rapportato con la leggenda che aveva di fronte. 

Per il resto c'è poco da salvare. Né l'esibizione offerta né l'immagine che se ne ricava sono in linea con quanto la gran parte degli appassionati si auspicava: vedere l'idolo della propria infanzia sconfitto dal trascorrere inesorabile degli anni ancor prima che dall'arroganza di un giovane dilettante biondo è il modo più infame e crudo di capire come tutto, nella vita, abbia un suo tempo.

E se si esula da tale riflessione il discorso monetario, che per carità avrà spinto i due protagonisti a fare ben altro genere di considerazioni, questa avrebbe potuto essere l'occasione per capire che, talvolta, le leggende andrebbero lasciate nella amorevoli e giuste mani della storia, senza guastare la fotografia che di loro perviene ai posteri.

Mike Tyson e Jake Paul: il sogno infranto del ritorno di Iron Mike. 

-Francesco De Paolis


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