IL CASO DI ROMA E MILAN
È però necessario evidenziare quale sia la deriva di questa transizione del calcio moderno. In
Italia ne abbiamo due grandi esempi, purtroppo negativi: il Milan e la Roma, infatti, sono in
mani straniere da diversi anni e, di tutte le proprietà che si sono succedute, nessuna ha avuto
particolare fortuna. Partiamo dalla Capitale.
La proprietà Friedkin, da quando ha acquisito la
società circa quattro anni fa, non è mai riuscita a creare un vero e proprio progetto a lungo
termine, riuscendo nell'impresa di portare un trofeo a Roma con Mourinho, ma tornando al
punto di partenza al momento del suo esonero.
La gestione Friedkin è sempre stata la stessa: investimenti e deleghe, senza mai mettersi in
primo piano con prese di posizioni pubbliche o altro che non fossero comunicati ufficiali. Il
punto fondamentale è che la rottura tra proprietà e tifoseria non avviene perché non si gioca
la terza finale europea in tre anni, ma perché la società ha abbandonato l'allenatore e la
squadra a sé stessi dopo un trattamento quantomeno discutibile nella finale di Budapest. La
società non può limitarsi a festeggiare le vittorie, nominare direttori e "burattini" e poi sparire
nei momenti di difficoltà, proprio quando l'ambiente ha bisogno di risposte e rassicurazioni.
Come il tempo ci ha mostrato, senza più un Mourinho che si fa carico di tutto, con tutte le
conseguenze del caso, si arriva a Ghisolfi che richiede giustizia per un trattamento arbitrale,
in francese. Nulla contro il dirigente transalpino, ma è chiaro che non si possono attribuire scelte
a manager che, per quanto competenti, a livello sportivo e ambientale sono totalmente
scollegati dalla società che gestiscono. La situazione attuale della Roma appare ormai
irreversibile, realizzando forse il peggior scenario dopo le premesse di un mercato estivo
scintillante.